martedì 11 dicembre 2012

Semplicemente 'let it go'

Il freddo è talmente freddo che lo senti persino nell'allontanarsi di uno sguardo, nel mezzo sorriso forzato, nell'assenza di qualcuno che c'è ancora, ma non ci sarà più. Oggi splendeva il sole a Faenza, una mattina d'inverno chiara, pulita, eppure era freddo, nell'aria, le chiavi della bici, gli occhiali sul naso, la lontananza.

Mi è bastato pensare a lui e mi si è subito riscaldata l'anima, e anche le dita dei piedi, l'ombelico e le labbra. Tornavo a casa in bici carica dopo aver fatto la spesa e mi è venuta in mente un'immagine, di un passato prossimo, presente più che mai e che, eppure, non fa più parte di questa mia realtà, non è oggi, è ieri. Un bacio, la semplicità di un bacio dato al momento giusto, così, senza troppi indugi, con la voglia impellente di sentire quelle labbra sulle tue che si schiudono lentamente, ma mai timide; le lingue che si toccano appena e il respiro che sembra uno.

Le strade sono ancora un po' innevate, il sole che c'è ma non riscalda molto e a me accompagna l'idea dell'amore come qualcosa di semplice, forse la cosa più semplice in assoluto; talmente semplice che nella magia della sua nascita c'è forse anche la spiegazione della sua morte improvvisa senza scusa, perdonami, sei molto importante, ti amo ma...
L'amore è talmente semplice che siamo noi a renderlo complicato, a farlo apparire come qualcosa di difficile, impossibile da avverare; l'amore è semplice perché esiste nell'oggi, adesso io e te, adesso noi, subito, non perdiamo più un secondo; semplice come un bacio, inspiegabile come la magia che attira due sguardi, li guida l'uno verso l'altro, fino a fonderli in un dolce scontro, un incontro affannoso, senza troppe pretese.

Amare è semplice, è "cadere nell'amore" come dicono in inglese, è caderci per salire, elevarsi, raggiungere un qualcosa di più alto di noi; semplice è amare ma forse meno semplice è lasciarsi amare. Ricevere amore, per quanto sia una sensazione bellissima, ammettiamolo, ci fa paura, tanta. Ecco che entrano in gioco le nostre insicurezze, i nostri talloni d'Achille allo scoperto, le nostre cicatrici sono ancora lì e ahimè se l'altro le vede.
Ricevere amore è sempre una scommessa, eppure vorremmo sapere come andrà a finire, avere la certezza di vincere, che tutto andrà bene, che questa volta le cose andranno per il verso giusto. Ma...la magia dell'amore la trovi nell'incertezza, non nella sua finta sicurezza; la percepisci nel processo e non nell'arrivo; la godi nel presente e non proiettandoti nel futuro.

L'amore è talmente semplice che le nostre gigantesche paure potrebbero offuscarlo in un attimo. Fai che non sia così, fai che ciò che ti spaventa di più venga a galla, tiralo fuori, parlane con qualcuno, strizzalo e lascialo andare. Semplicemente, let it go.

Poi torni a casa, le notizie sono sempre più brutte e capisci che le paranoie sul futuro sono stupidamente inutili, prive di alcun senso. Let it go, stai serena e lascia che l'amore passi attraverso te, naturalmente, semplicemente.

venerdì 19 ottobre 2012

Chi sei tu? - non ridarmi indietro la mia pelle



Chi sei tu?

Dimmi, la tua pelle freme nello sfiorare ogni pelle?
Dimmi, i tuoi occhi sorridono davanti a lune lontane?
O forse le tue labbra cercano sempre altre labbra,
insaziabili
insonni
abbandonate su altri grembi?

Raccontami, le tue mani strappano
ogni notte vesti
armature
maschere?
Raccontami, le tue dita esplorano
recondite profondità
ad ogni tramonto?

Parlami del tuo ventre
su altri ventri,
del tuo petto infervorato
che trova rilievi,
e piane.
Parlami della tua virilità accesa
indomita
che abbatte il mistero,
lo conosce
lo bacia
lo scuote
lo scioglie
fino a renderlo ancora mistero.

Dimmi, raccontami, parlami
di te
di chi sei tu.
Narrami la tua vita
come se fosse una storia
una grande avventura.
Ma mentimi, ti prego,
se abbatti altri misteri
se esplori nascondigli segreti
se le tue labbra assetate
cercano labbra qualunque.
Mentimi e dimmi di no,
che misteri non vi sono
nascondigli neppure,
che le tue fiere non si abbeverano
se non dalla mia bocca.

Dimmi, chi sei tu?
Io non lo so.
La mia pelle, solo lei
ti conosce.
Oh ti prego, tienila stretta
e non ridarmela indietro,
ormai ti appartiene.

giovedì 27 settembre 2012

Una riflessione "di corsa"

Lo smalto non è ancora asciutto, ma io fremo dalla voglia di scrivere. Era da un po' che non mi mettevo davanti al pc e condividevo le mie riflessioni in italiano. L'ho fatto in spagnolo in questi ultimi giorni, non so bene perché: forse certe cose sono più belle scritte in spagnolo e basta. 
Stasera, chissà, saranno Guccini, Battisti o Mina che mi donano una piccolissima parte della loro ispirazione mentre li ascolto alla radio. So solo che scrivere, per me, è una grande liberazione. Di energia, di pensieri. Di una parte di me, sempre. 


E' il secondo giro che faccio attorno al parco, di camminata veloce, e io sono ancora quà a pensarci. Sono passate ormai due settimane, e io non riesco a togliermi la nostra immagine dalla testa. Sto diventando assai monotematica e non gradisco, no grazie. Eppure... i tuoi nei me li ricordo tutti. Uno, due, tre, quattro e subito dopo la tua bocca assetata. 
Ora scatto e corro, e non ci penso più. Oppure si, ci penso, ma la memoria mi fa brutti scherzi e il tuo volto non riesco a vederlo nell'insieme, solo a pezzi, quasi come fosse un puzzle da risolvere. Come il mistero che sei, ahimè. E continuo a ripetermi, mentre il respiro diventa sempre più affannoso, che il bello è nella semplicità delle cose, nella loro chiarezza, nel dirci ora, senza indugio, quel facciamo escludendo geografie o evitando quella pelle troppo scottata da una breve storia senza fine. 
Devo fermarmi, le fitte cominciano a farmi male e la musica che esce dalle cuffie non l'ascolto più. Un ragazzo con la canottiera gialla mi passa vicino, di corsa, e mi sorride. "E' bello", penso compiaciuta. Ma, all'improvviso, il tuo viso compare nella mia memoria con tutta la sua forza. Adesso ricordo ogni dettaglio  (chi pensa più a quel ragazzo del parco?), e quasi mi manca il fiato ripensando a quella panchina, le mie gambe incrociate, tu che mi scruti in silenzio, io che non capisco perché.
Il puzzle del tuo viso è fatto, ora resta il tuo mistero a farmi compagnia stanotte. E domani, dopodomani....

lunedì 3 settembre 2012

In treno per Milano con Eddie Vedder

Il treno per Milano è tranquillo, è mattina presto e non c'è molta gente nella carrozza dove mi trovo io. Vicina al finestrino riesco a vedere il paesaggio: lasciatami Bologna alle spalle, il verde della campagna emiliana si fa vedere; qualche spruzzo di giallo quà e là, le tipiche case italiane dai tetti tipicamente rossi, le colline che si vedono all'orizzonte. Che bella l'Italia! Mi piace viaggiare in treno perché riesco a godermi il viaggio.
Inmancabilmente la musica: Eddie Vedder è la colonna sonora di questo viaggio e mi dice I'll keep on healing all the scars that we've collected from the start. La sua voce rispolvera ricordi ormai lontani nel tempo e nello spazio, ma comunque presenti. Guardare Into the wild non fu più la stessa cosa per me (da quant'è che non lo guardi?). Ma le immagini si sovrappongono nella mia memoria e, se prima rievocavo un letto in una stanza e McCandless mangia una pianta velenosa, ora sono qui a chiedermi dove sarò tra un anno, tra cinque, dieci. Uff, dieci no, troppi, meglio un anno. Trecentosessantacinque giorni in cui potresti fare milioni di cose, cose che hai sempre sognato di fare, visitare posti mai visti prima, scattare una foto che ne valga il viaggio, scrivere ed essere serena. Cos'è la serenità per te? Avere una fissa dimora, un lavoro soddisfacente, qualcuno da amare senza ma, però, perché. Non ne sono tanto sicura, agogni la serenità da quando avevi quattordici anni, forse da molto prima, sin da quando scrivevi poesie d'amore per un ragazzino che non conoscevi nemmeno. Non conosco serenità se non quella effimera che mi sforzo di cercare quando respiro profondamente e conto fino a dieci. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.

Una ragazza mi riporta nel presente, nella carrozza del treno per Milano. Lascia a tutti i passeggeri un bigliettino con scritto Ho due figli e non ho un lavoro. Ho fame, aiutatemi. Grazie. Chiede solo una moneta, ma quasi nessuno vuole dargliela. Io la guardo caritatevolmente e le dico "mi dispiace". Lei se ne va a mani vuote e lascia a metà un per fav... Passano due minuti e mi sento in colpa. 
Penso a quanto sia ipocrita, e io mi credo una persona sensibile! L'indifferenza con cui ho negato a quella ragazza una moneta mi lascia perplessa, anche se non è la prima volta che faccio una cosa simile. Mi chiedo perché non aiutare la gente che ha bisogno. E' perché siamo degli avari? Non credo, una moneta non ci cambia la vita. E' forse perché crediamo che, così come noi abbiamo cercato e trovato un lavoro, anche chi chiede l'elemosina può farlo? Diamo per scontato che sono persone pigre, che non vogliono lavorare. Ecco il punto: noi riteniamo che negando una moneta, facciamo loro un favore. Cerchiamo di istruire chi elemosina, insegnandogli una bella lezione di morale.
Ma io ora, sto meglio dopo aver negato a quella ragazza una moneta? E se lei, con quelli che per me sono degli spiccioli, avesse potuto comprare il latte per i suoi bambini, o il pane da mangiare a cena? E se non fosse vera la sua storia? Sono forse io, ora, una persona migliore per aver svelato l'inganno?

La voce di Eddie Vedder esce ancora dalla cuffie e per un attimo silenzia i miei pensieri sulla colpa e la falsa morale che ci abitano. Non riesco, però, ad ascoltarlo senza sentirmi stringere il cuore: saranno i ricordi, la fine di McCandless o il male di vivere che spesso riscontro nelle sue note. Ma poi mi basta un secondo per guardarmi intorno e spazzare via i grigi: il treno è da poco entrato a Milano Centrale, poi prenderò l'Eurocity per Lugano. Ho già spento il lettore mp3 e osservo serenamente l'arrivo del convoglio in stazione. Il mio viaggio è appena iniziato.

Lugano_escudo
Arrivo a Lugano -bsz2012

mercoledì 15 agosto 2012

VOGLIA DI VIAGGIARE - Hermann Hesse

Oggi voglio condividere con voi un testo di Hermann Hesse, Voglia di viaggiare (1910), che ho letto nella raccolta Storie di vagabondaggio. E' un libro pieno di riflessioni sul viaggiare e tutto ciò che comporta spostarsi, muoversi fisicamente ma anche mentalmente. Il poeta è felice quando viaggia, quando i suoi occhi vedono posti mai visti prima, quando assapora cibi e pietanze straniere, quando conosce gente diversa da lui. 
Credo che non ci sia bisogno di spiegare troppo questo testo, vi trasmetterà (spero!) una grande voglia di viaggiare, una grande passione per la Vita.

lunedì 23 luglio 2012

Saudade di Vivere. Barra da Lagoa - Brasile

Ieri ripensavo alle mie vacanze in Brasile, un bellissimo viaggio insieme a mia sorella, mio fratello e i miei cugini. Quanta saudade di quei giorni d'estate! Svegliarsi la mattina in quell'immensa casa che avevamo affittato, fare colazione con i prodotti tipici brasiliani e poi andare in spiaggia. 
Quel mare, azzurro, a volte verde. Verde che si confonde con la vegetazione dei morros. Sono state due settimane di relax puro, di scoperta, di ritrovarmi con l'altra me che sa stare insieme alle persone che ama. Due settimane di legami, senza pensare ai legami in sè, alla mia fobia per tutto ciò che mi lega, mi asfissia, mi imprigiona. Semplicemente, perché quella paura ai legami è tutta mia, gli altri non c'entrano. 
Forse è arrivato il momento di vivere la vita così come ci viene data, senza pensare troppo a ciò che verrà, o a ciò che è successo. Certo consapevoli dei nostri cambiamenti, e memori di ciò che siamo stati; ma se provassimo a Vivere? Respirare e Vivere.

Ecco alcune foto del mio viaggio a Barra da Lagoa, nell'isola di Florianópolis, in Brasile. Enjoy! 

lunedì 9 luglio 2012

"Io mi sono una donna che dispera che non ha pace in nessun luogo mai..." Scoprendo ad Alda Merini

Alda_Merini_sigarettaMentre la dolce ma potente voce di Ella Fitzgerald esce lentamente dalle casse, rileggo i versi di Alda Merini. Poetessa italiana del Novecento, tormentata forse dalle stesse passioni e inquietudini di Virginia Woolf, fu ricoverata in una clinica psichiatrica per molti anni. Nella sua opera, perciò, si riflettono tematiche profonde, talvolta oscure ma mai prive di Vita, sulla sofferenza e i fantasmi della follia.
Alda Merini visse la sua vita circondata di amici poeti e artisti tra cui Giorgio Manganelli, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani; visse e scrisse anche da donna innamorata. 
 
Ecco a voi alcune delle sue poesie più belle secondo me:
RENDIMI I MIEI CAPELLI
Rendimi i miei capelli,
non portarli con te nelle tue pene,
inebriami di baci, come statua
che abbia compiuto musiche maggiori.
O coscia del destino semiaperto,
lascia che ti ricami una chimera
sull’avambraccio
prima che la follia del tempo
divori le caviglie.
Sei nata donna
ma tu sei così oscura
come tranello in cui tema il piede
di orizzontarsi. Sei la mia dimora,
la dimora traslata dalle vigne
che fa tacere anche il pavimento.

IO SONO UNA DONNA
a Salvatore Quasimodo
Io mi sono una donna che dispera
che non ha pace in nessun luogo mai,
che la gente disprezza, che i passanti
guardano con attesa e con furore;
sono un’anima appesa ad una croce
calpestata, derisa sputacchiata:
mi son rimasti solo gli occhi ormai
che io levo nel cielo a Te gridando:
toglimi dal mio grembo ogni sospiro!

TU NON SAI
Tu non sai: ci sono betulle che di notte 
levano le loro radici, e tu non crederesti mai 
che di notte gli alberi camminano o diventano sogni.
Pensa che in un albero c'è un violino d'amore.
Pensa che un albero canta e ride.
Pensa che un albero sta in un crepaccio e poi diventa vita.
Te l'ho già detto: i poeti non si redimono, 
vanno lasciati volare tra gli alberi 
come usignoli pronti a morire.

IO SONO FOLLE, FOLLE...
Io sono folle, folle,
folle di amore per te.
Io gemo di tenerezza
perché sono folle, folle,
perché ti ho perduto.
Stamane il mattino era sì caldo
che a me dettava questa confusione,
ma io ero malata di tormento
ero malata di tua perdizione.

O IL VELEGGIARE DEL TUO CALDO PENSIERO
O il veleggiare del tuo caldo pensiero
sopra la mia parola
e il tuo dormire selvaggio
accanto al mio seno vivo;
o l’adombrarsi della primavera
quando cade il suono del seme
sulla terra feconda di parola.
Così tu sei l'esempio
del sole mio.

ED ERA UN MATTINO BUGIARDO
a Rino Escalante
Ed era un mattino bugiardo
uno dei tanti mattini
in cui entrai in un nefasto sogno:
era un sogno di pesanti paure,
di zolle devastate
era il sogno di un impossibile amore.
Le nostre mani furono disserrate
schiodate come le mani del Cristo
inutili furono i nostri abbandoni,
qualcuno ci ferì alle spalle
non so chi, non so chi
forse una forza umana
forse la forza del destino
forse tu stesso, amore,
mi hai colpita alle spalle.

Da ALLA TUA SALUTE, AMORE MIO
Amore,
vola da me
con l'aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l'ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d'albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa' delle due braccia
due ali d'angelo
e porta anche a me un po' di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa
guarda il genio in fiore
del mio cuore.

Da VUOTO D'AMORE
Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.

domenica 1 luglio 2012

Ci siamo scelte

Sono a letto, pronta per dormire: coperte, cuscini posizionati, tanto sonno, e buio. Poi mi viene in mente un ricordo, che arriva sotto forma di suono: le fette biscottate che scricchiolano sotto i denti. E subito dopo, quel sapore dolce, ma non troppo che sa a...fette biscottate per l'appunto. Queste sensazioni mi riportano indietro nel tempo, cinque anni fa, in una cucina a fare colazione con una grande amica. 
Ripenso a quei giorni, quell'ultimo anno di scuola, le immagini scorrono velocemente nella mia mente. Vedo intervalli, gite, uscite del sabato sera, estati eterne a girare la nostra città in bici. Tanta spensieratezza. Mi rendo conto di essere fortunata, "ho delle grandi amiche" dico a me stessa. Allora penso all'amicizia, alle mie amicizie, quelle vere.
Le mie amiche sono belle, sono poche ma al tempo stesso, sono tantissime. E' buffo, quando ero piccola credevo nell'idea della 'migliore amica', per sempre, unica. Poi le distanze fisiche e temporali mi hanno fatto ricredere e ho capito che nella mia vita non c'era spazio per una sola persona; ho realizzato che i rapporti esclusivi non facevano per me. Perché andare avanti con l'idea fissa, testarda che la mia migliore amica era quella ragazzina che avevo conosciuto alle elementari, e che soltanto a lei spettava il titolo di "migliore"? Cosa vuol dire poi "migliore amica"? Non è forse ridondante? Le amiche sono sempre migliori, altrimenti non ci avremmo scelto. Ecco, perché è questo aspetto a rendere l'amicizia cosa unica e fondamentale nella nostra vita: io e le mie amiche ci siamo scelte, stringendo tacitamente un patto mutuo. 
Le mie amiche mi conoscono, notano quando sono pensierosa, sanno cosa mi turba, capiscono chi mi piace. Sanno anche quando lasciarmi perdere, in tutti i sensi, nelle mie fantasie e nelle mie nostalgie. Con le mie amiche condivido i miei sogni, le mie aspirazioni, la mia Voglia di Vivere. Loro hanno visto anche il mio lato confuso, i miei grigi, le mie paure e il mio egoismo, forse travestito da quella indipendenza che travolge tutto. 
Insieme alle mie amiche ho visto le stelle cadenti, la luna immensa in cielo, la notte fondersi col giorno stese su un prato e una birra in mano. Abbiamo camminato insieme spiagge, grandi città, sagre di paese. Siamo state sveglie a parlare di uomini e cuori infranti, cuori freddi, cuori immacolati. Con le mie amiche non ci si aggiorna in una sera, perché non è mai abbastanza. 
Le mie amiche sono belle, forti, donne. Hanno il cuore grande loro, enorme. 

Le mie amiche siete voi e io vi sceglierei ancora.

tramonto_estate_amiche
Ricordi di estate bsz 2010

giovedì 21 giugno 2012

Il magico mondo dei libri, in crisi?

A detta degli esperti del settore, il mercato dei libri soffre da qualche anno le conseguenze dell'avvento degli e-book (letteralmente i "libri elettronici", quelli che si comprano su internet per poi essere letti sul computer o sul palmare). Se poi pensiamo anche all'attuale modello economico europeo, messo in ginocchio dalla crisi mondiale e smascherato nei suoi punti deboli, e quindi all'improvviso impoverimento dei gruppi familiari o alla conseguente tendenza al risparmio tra i consumatori, il magico mondo dei libri e le librerie sembrerebbe avere i giorni contati. Per fortuna, la magia ha sempre saputo trascendere i limiti della realtà, come in Francia, dove le librerie sono tante e la vendita di libri negli ultimi nove anni è aumentata di un 6.5 percento.
Secondo un articolo pubblicato oggi nel portale del The NewYork Times, mentre negli USA e in Gran Bretagna gran parte delle piccole librerie hanno dovuto chiudere i battenti per la crisi e la mancanza di clienti, in Francia la situazione sembra essere diversa: librerie di quartiere che fanno fronte alle grandi catene di bookstores e lettori poco avezzi a comprare libri su internet e tantomeno a leggerli su uno schermo. Tuttavia, il successo delle librerie francesi non è tutto dovuto ai lettori avidi di conoscenza e fedeli ai libri stampati; lo Stato francese ha svolto un ruolo assai importante negli ultimi decenni applicando misure protezionistiche sul mercato dei libri e concedendo prestiti a tasso zero a futuri librai. C'è da dire, infatti, che i prezzi dei libri in lingua francese sono fissi e non possono essere scontati più del 5 percento, così come il valore degli e-book, che viene fissato dalle case editrici e non può subire ulteriori sconti.
Il mondo dell'editoria sa anche essere buffo a volte: in Argentina, ad esempio, nel 2011 è stato registrato un incremento del 33 percento nella pubblicazione di libri, rispetto all'anno precedente. Eppure, è risaputo in questo paese (il mio paese!) che la società argentina mediamente non legge molto se non in spiaggia al mare. Quindi, come sarebbe? Ci sono più libri, ma meno lettori? O più libri, per gli assidui lettori? Forse, semplicemente dallo Stato si è cercato di aiutare le case editrici locali per favorire la produzione e preservare i posti di lavoro. Peccato, però, che di fronte a questo intervento statale, a quanto pare, non abbiano avuto successo le politiche educative mirate a stimolare la lettura nella comunità.

Ho voluto condividere con voi queste notizie perché sono una di quelle persone che crede firmemente nel libro come oggetto quasi salvifico, utile, necessario. Magico. Leggere un libro è un'avventura, sempre diversa da ogni altra passata o futura. Il libro è un viaggio, secondo me, lo apri e via, pronti a partire. Inizi a leggere senza sapere veramente mai cosa aspettarti; un'idea ce l'hai se hai dato un'occhiata alla sinopsi nel risvolto della copertina, ma quello che troverai scritto tra quelle pagine, lo scoprirai solo se arrivi fino alla fine, a quel punto che può lasciarti perplesso (ma come, è finito così?), amareggiato (eggià, la vita è così...), soddisfatto (ecco, proprio un bel libro), sorpreso (ma io lo sapevo!!!), e a volte perché no, deluso (ma dai, non l'avrei mai detto). 
Ciò che il libro non farà mai è lasciarti indifferente, ottenendo sempre una risposta da parte tua, perché l'ha cercata quella risposta, e se l'è guadagnata attraverso tutte quelle pagine che possono essere poche o molte. Perché oltre l'intrattenimento della trama, la veridicità del fatto narrato o la bellezza delle parole abilmente scelte, il libro è importante per noi, uomini e donne pensanti, in quanto stimolo piacevole che cerca, nutre e finalmentre trova quella reazione nel lettore.
Neruda_libro
Foto fatta da mio cugino Fabrizio
Io sostengo l'editoria, vuoi mettere un libro fatto di carta, leggermente ruvida al tatto?
Vuoi mettere l'odore dei libri nuovi? E di quelli vecchi? 
Ma per piacere!

mercoledì 13 giugno 2012

Oggi, Eugenio Montale


Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896, il più piccolo dei sei figli di una famiglia medio-borghese. Egli trascorre parte della sua infanzia nella Riviera Ligure (Le Cinque Terre), dove la famiglia va in vacanza, ed è proprio questo paesaggio mediterraneo e arido lo stimolo ideale per svegliare la curiosità del giovane Montale. Sebbene si diploma in ragioneria, Eugenio Montale è un grande autodidatta, che coltiva i suoi interessi letterari e artistici frequentando le biblioteche della città e assistendo a lezioni di filosofia impartite dalla sorella Marianna. In questo periodo, scopre anche la passione per il canto, disciplina che studia con l'ex baritono Enrico Sivori e che manterrà viva per tutta la vita, senza mai però esibirsi in pubblico.
Montale_sigaretta_scrivereLe sue opere liriche sono caratterizzate da una profonda testimonianza delle inquietudini dell'uomo moderno, generate da quel mondo che lo incuriosisce ma al tempo stesso lo affligge. Montale riesce a cogliere quel senso di smarrimento derivato dalla frattura insanabile tra l'uomo e il mondo circostante; per fare ciò, il poeta utilizza un linguaggio fortemente simbolico: la natura e i suoi elementi in Ossi di seppia (1925), la donna-angelo in Le occasioni (1939).
Le altre sue raccolte poetiche sono La bufera e altro (1956) e Satura (1971), in memoria della moglie Drusilla Tanzi, morta nel 1963. Eugenio Montale, Premio Nobel della Letteratura nel 1975, muore a Milano il 12 settembre 1981.

Volevo condividere oggi con voi alcuni dei suoi componimenti più belli secondo me. Buona lettura!

Ossi di seppia - Meriggi e ombre
III - Casa sul mare
Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
i soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.

Ossi di seppia
Meriggiare pallido e assorto
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d' orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch' ora si rompono ed ora s' intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com' é tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Portami il girasole
Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
é dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

Spesso il mal di vivere
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Forse un mattino andando
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi vedró compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andró zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Le occasioni
Non recidere, forbice, quel volto
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre
Un freddo cala…
duro il colpo svetta
e l’acacia ferita da sé scrolla il guscio di cicala
nella prima balletta di novembre.

II - Mottetti
L’anima che dispensa
furlana e rigodone ad ogni nuova
stagione della strada, s’alimenta
della chiusa passione, la ritrova
a ogni angolo piú intensa.

La tua voce è quest’anima diffusa.
Su fili, su ali, al vento, a caso, col
favore della musa o d’un ordegno,
ritorna lieta o triste. Parlo d’altro,
ad altri che t’ignora e il suo disegno
è là che insiste do re la sol sol...

Xenia I
Avevamo studiato
Avevamo studiato per l'aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell'alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di esser visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello. 

Xenia II - Satura
Ho sceso dandoti il braccio
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perchè con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

sabato 9 giugno 2012

"E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio". Il ritorno negato di 'Ntoni Malavoglia


Oggi volevo scrivere sulla mia vita e sulla letteratura; anzi, volevo trovare un testo che mi fosse rimasto impresso nella memoria e perché no, nel cuore, e che in qualche modo fosse collegato alla mia vita o fosse stato parte delle mie riflessioni notturne. Ecco che cercando tra le mie cartelle del computer ho visto il file Tesina di Letteratura Italiana, scritta da me due anni fa. 
Scelsi come argomento le inquietudini esistenziali di 'Ntoni Malavoglia, facendo un particolare riferimento al motivo della soglia, molto ricorrente nel romanzo di Giovanni Verga. Devo ammettere di essere stata molto soddisfatta allora, non tanto perché fosse piaciuta al professore, bensì perché mi piacque assai il tema e mi diede la possibilità di rileggere questo capolavoro verghiano sotto un'altra luce, dopo esperienze di vita simili a quelle del giovane Malavoglia (solo per il fatto di considerarmi una specie di "esule", non per le tragedie familiari o aver accoltellato Don Michele, sia chiaro!). A voi, qualche passaggio del mio elaborato [ho tralasciato le citazioni a pié di pagina per motivi estetici; naturalmente, le parti tra virgolette non mi appartengono].

Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840, da padre discendente dal ramo cadetto di una famiglia nobile e da madre borghese. Dopo una serie di romanzi a sfondo patriottico, comincia a scrivere dei romanzi brevi, le cosiddette novelle, tra cui Fantasticheria (1879) e Rosso Malpelo (1878). Esse diventano una specie di laboratorio, dove il Verga si allena e prepara i ferri del mestiere che gli consentiranno poi di delineare il ciclo de I Vinti, una raccolta che prevedeva cinque romanzi, di cui però soltanto due furono portati a compimento. Secondo Verga (1881), infatti, “I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l’Onorevole Scipioni, l’Uomo di lusso, sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno con le stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù". 
L’ultima parte della novella [Fantasticheria] enuncia ciò che può essere considerato la linea guida de I Malavoglia, ovvero l’ideale dell’ostrica, che esalta l’attaccamento degli umili al proprio ambiente e la “rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti” (Verga, 1879). Ma il concetto forse più interessante di questo ideale è quello di chi, staccandosi dallo scoglio “per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo”, è condannato ad una vita di fallimento e di sofferenza. Infatti, secondo questo principio, chi lascia il nido per immergersi nella fiumana del progresso e della storia non può che rimanerne stravolto, e ogni speranza di miglioramento gli sarà negata. Più difficile sarà, invece, la sorte della stessa persona se decidesse di ritornare dai suoi dopo aver varcato i confini del suo villaggio, poiché si renderà conto che, di fronte all’impossibilità di reintegrarsi alla vita del paese, non gli resta che ripartire, questa volta però, per non tornare più. Ecco cosa succede a ‘Ntoni Malavoglia.
E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico. Allora 'Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli bastasse il cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro Filippo.
Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese nero, e ascoltando il mare che gli brontolava lì sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch'ei conosceva, e delle voci che si chiamavano dietro gli usci, e sbatter d'imposte, e dei passi per le strade buie. Sulla riva, in fondo alla piazza, cominciavano a formicolare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i Tre Re che luccicavano, e la Puddara che annunziava l'alba, come l'aveva vista tante volte. Allora tornò a chinare il capo sul petto, e a pensare a tutta la sua storia. A poco a poco il mare cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad una ad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto c'era il lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. - Fra poco lo zio Santoro aprirà la porta, pensò 'Ntoni, e si accoccolerà sull'uscio a cominciare la sua giornata anche lui. - Tornò a guardare il mare, che s'era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta e disse: - Ora è tempo d'andarmene, perché fra poco comincierà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu.

[...]
Grazie a questi usi verbali, vediamo che ad Aci Trezza il tempo è circolare, e come in natura, i cambiamenti sono apparenti e ciclici, poiché alla fine tutto rimane immutabile; persino le azioni umane sembrano ritornare eternamente nella vita del paese. ‘Ntoni invece, in quanto esule o, perché no, futuro emigrante italiano del XIX secolo, appartiene al tempo lineare della storia e, quindi, non può più fare parte di quel mondo abitudinario che è Aci Trezza. Da qui la contraddizione simbolica della chiusa del romanzo: l’eterno ritorno è concesso soltanto a chi, il suo paese, non l’ha mai lasciato.

martedì 5 giugno 2012

Un pensiero all'Emilia Romagna

In Emilia-Romagna non sono nata, né ho trascorso la mia infanzia. I miei parenti non sono emiliani né tantomeno romagnoli. In questa zona, però, sono cresciuta e sono forse diventata chi sono ora: la ragazza latinoamericana se sono in Italia, e la donna europea se mi trovo a Buenos Aires. Mi sono anche innamorata da queste parti, ho fatto tanti amici, ho studiato, ho lavorato, ma ho avuto qualche delusione, come tutti poi. Sarebbe più fedele ai fatti se mi riferissi alla Romagna, quella terra magica che è ormai parte di me; tuttavia, le circostanze giuridiche, culturali e storiche vollero che l'Emilia e la Romagna fossero un'unica cosa. Perciò sono sorelle anche in questi momenti, anzi, lo sono ancora di più perché è nel bisogno che si vedono gli amici, i fratelli, le sorelle
So che un post in un blog non contribuisce di certo ad aiutare i terremotati di Finale Emilia o di Mirandola, ma ci tenevo a dedicare un pensiero per iscritto a quella regione che tanto mi ha dato, soprattutto perché mi ci trovo lontana e più di così non credo di poter fare.

Beh, forse una cosa posso farla, anzi, mi sento in dovere di fare: vi lascio dei link dove potete trovare tanti modi per aiutare le zone colpite.

Invece, in questo blog troverete un reportage e informazioni molto utili per dare una mano alle famiglie colpite dai terremoti dei giorni scorsi. 

Condivido con voi una poesia di Giovanni Pascoli dedicata alla sua cara Romagna che, anche se non è la zona in questione, mi piace e mi ricorda la terra della piadina e il sangiovese!

Romagna
a Severino

Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra visïon di San Marino:

sempre mi torna al cuore il mio paese

cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
Là nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l’altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti, quando
lenta vi guazza l’anatra iridata,

oh! fossi io teco; e perderci nel verde,

e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarci l’urlo che lungi si perde
dentro il meridïano ozio dell’aie;

mentre il villano pone dalle spalle

gobbe la ronca e afferra la scodella,
e ’l bue rumina nelle opache stalle
la sua laborïosa lupinella.

Da’ borghi sparsi le campane in tanto

si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d’occhi di bambini.

Già m’accoglieva in quelle ore bruciate

sotto ombrello di trine una mimosa,
che fiorìa la mia casa ai dì d’estate
co’ suoi pennacchi di color di rosa;

e s’abbracciava per lo sgretolato

muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un biricchino.
Era il mio nido: dove, immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l’imperatore nell’eremitaggio.

E mentre aereo mi poneva in via

con l’ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;

udia tra i fieni allora allor falciati

de’ grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema.

E lunghi, e interminati, erano quelli

ch’io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettìo d’uccelli,
risa di donne, strepito di mare.

Ma da quel nido, rondini tardive,

tutti tutti migrammo un giorno nero:
io, la mia patria or è dove si vive:
gli altri son poco lungi; in cimitero.

Così più non verrò per la calura

tra que’ tuoi polverosi biancospini,
ch’io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozïoso i piccolini,
Romagna solatìa, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

mercoledì 30 maggio 2012

Seguitemi su Permesola! - Buenos Aires

Ho scritto un'articolo su Buenos Aires che, pur non descrivendo tutta la città, ne racconta una parte molto bella che ho scoperto negli ultimi mesi. L'articolo è stato pubblicato su Permesola, un giornale online per donne che viaggiano da sole o accompagnate, ma che soprattutto hanno sempre la valigia pronta per vivere nuove avventure!
Vi lascio qualche foto di Recoleta che ho scattato il mese scorso e ho "abbellito" con qualche effetto:

Derecho_UBA
Edificio della Facoltà di Giurisprudenza dell'UBA, Av. Figueroa Alcorta

Alcorta_ponte
Av. Figueroa Alcorta, vista dal ponte pedonale
 
Floralis_Buenos Aires 2
Floralis Genérica, di Eduardo Catalano
 
Floralis_Buenos Aires
Floralis Genérica II
 
Ingresso_Recoleta
Cementerio de la Recoleta, ingresso
 
Angelo_Recoleta
Statua cimitero Recoleta

Cupola_angelo_Recoleta
Cupola cimitero Recoleta

domenica 20 maggio 2012

Un sogno

Ho fatto un sogno: 

Ero a Faenza, era Natale, nevicava. Ero in casa con i miei genitori, mia sorella e mio fratello più piccolo. C'era un gran daffare, piatti, posate, bicchieri, tutto pronto per l'arrivo degli ospiti. Avendo già imbandito la tavola, non ci restava che aspettarli: loro, i nostri parenti. Il primo ad arrivare era mio nonno, seguito dai miei zii e cugini. Che bello essere tutti qui, insieme. Dopo la mezzanotte e il brindisi, bussano alla porta: le mie amiche che sono passate dopo la messa a salutarmi. Sanno che io non sono un'assidua frequentatrice delle chiese, anzi, non frequento e basta. Sono felice, circondata da tutta la gente importante e a cui tengo di più. 

Poi mi sono svegliata, è stato un sogno, ecco cos'è stato.

venerdì 18 maggio 2012

I nostri occhi

I miei nonni nel loro viaggio di nozze.

Verdi sono gli occhi tuoi 
quando guardi il mare,
azzurri diventano i miei occhi 
quando il cielo guardo;
trasparenti, soltanto, 
quando i nostri occhi si guardano 
l'un l'altro.

B.Z

lunedì 7 maggio 2012

Itaca - Costantino Kavafis


Se ti metti in viaggio verso Itaca,
augurati che sia lunga la tua strada,
e piena di peripezie e conoscenze.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
Poseidone iracondo non temere:
mai te li troverai sul tuo cammino
se il tuo pensiero è alto, e nobile
è il sentimento che ti tocca anima e corpo.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
il feroce Poseidone non li incontrerai
se non abitano già nella tua anima,
se la tua anima non te li mette contro.
Augurati che sia lunga la tua strada
che siano molti i mattini d’estate
quando con piacere, con gioia
approderai in porti sconosciuti;
ti fermerai negli empori fenici
e acquisterai preziose mercanzie,
madreperle e coralli, ambra ed ebano,
profumi voluttuosi d’ogni genere,
quanti più puoi profumi voluttuosi.
Va’ in molte città dell’Egitto,
a imparare e imparare dai sapienti.
Sempre nella tua mente tieni Itaca.
Giungervi è il tuo destino.
Ma non affrettare troppo il viaggio.
Meglio che duri molti anni:
e vecchio ormai approdi alla tua isola
ricco di quanto ti ha fruttato il viaggio,
ricchezze non attenderti da Itaca.
Itaca il bel viaggio t’ha donato.
Senza di lei non ti mettevi in viaggio.
Altro non ti darà.
E se la trovi povera, Itaca non ti ha ingannato.
reduce così saggio, con queste esperienze,
avrai capito quel che vuol dire un’Itaca.


Volevo iniziare quest'avventura narrativa con la traduzione della famosa poesia di Costantino Kavafis perché molto ha significato per me negli ultimi cinque anni. Ricordo ancora quando la professoressa d'Italiano delle superiori ci diede, come regalo in ricordo degli anni trascorsi insieme, una piccola busta bianca con dentro un biglietto giallo: ecco che per la prima volta, leggevo Itaca. Era un'altra versione, più armoniosa, aveva forse un ritmo più bello. L'effetto impresso su di me, però, è ciò che porto sempre nel mio cuore. In senso letterale, l'idea del viaggio come momento di scoperte, ritrovamenti, gioia; in senso metaforico, il concetto della vita come viaggio perenne, dove non importa la meta o l'approdo, perché la meta è già lì, c'è sempre stata, intrinseca: è il viaggio in sé.
La pelle d'oca c'è sempre ogniqualvolta leggo questa poesia, cosa che succede due o tre volte all'anno. Il mio viaggio è anche questo, rileggere emozioni quante volte sia necessario affinché io possa apprendere tutto ciò che la vita ha da offrirmi. Itaca è il viaggio, così come il viaggio è la vita. Quanto vi sia di destino e quanto di libero arbitrio...beh, questo io non lo so, ma mi piace credere che, tra un infinito ventaglio di Itache, sta solo a noi sceglierne una. 


Questa versione non l'ho fatta io, ma l'ho trovata su internet, ecco il link: http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_27_20110706173104.pdf