sabato 9 giugno 2012

"E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio". Il ritorno negato di 'Ntoni Malavoglia


Oggi volevo scrivere sulla mia vita e sulla letteratura; anzi, volevo trovare un testo che mi fosse rimasto impresso nella memoria e perché no, nel cuore, e che in qualche modo fosse collegato alla mia vita o fosse stato parte delle mie riflessioni notturne. Ecco che cercando tra le mie cartelle del computer ho visto il file Tesina di Letteratura Italiana, scritta da me due anni fa. 
Scelsi come argomento le inquietudini esistenziali di 'Ntoni Malavoglia, facendo un particolare riferimento al motivo della soglia, molto ricorrente nel romanzo di Giovanni Verga. Devo ammettere di essere stata molto soddisfatta allora, non tanto perché fosse piaciuta al professore, bensì perché mi piacque assai il tema e mi diede la possibilità di rileggere questo capolavoro verghiano sotto un'altra luce, dopo esperienze di vita simili a quelle del giovane Malavoglia (solo per il fatto di considerarmi una specie di "esule", non per le tragedie familiari o aver accoltellato Don Michele, sia chiaro!). A voi, qualche passaggio del mio elaborato [ho tralasciato le citazioni a pié di pagina per motivi estetici; naturalmente, le parti tra virgolette non mi appartengono].

Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840, da padre discendente dal ramo cadetto di una famiglia nobile e da madre borghese. Dopo una serie di romanzi a sfondo patriottico, comincia a scrivere dei romanzi brevi, le cosiddette novelle, tra cui Fantasticheria (1879) e Rosso Malpelo (1878). Esse diventano una specie di laboratorio, dove il Verga si allena e prepara i ferri del mestiere che gli consentiranno poi di delineare il ciclo de I Vinti, una raccolta che prevedeva cinque romanzi, di cui però soltanto due furono portati a compimento. Secondo Verga (1881), infatti, “I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l’Onorevole Scipioni, l’Uomo di lusso, sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno con le stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù". 
L’ultima parte della novella [Fantasticheria] enuncia ciò che può essere considerato la linea guida de I Malavoglia, ovvero l’ideale dell’ostrica, che esalta l’attaccamento degli umili al proprio ambiente e la “rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti” (Verga, 1879). Ma il concetto forse più interessante di questo ideale è quello di chi, staccandosi dallo scoglio “per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo”, è condannato ad una vita di fallimento e di sofferenza. Infatti, secondo questo principio, chi lascia il nido per immergersi nella fiumana del progresso e della storia non può che rimanerne stravolto, e ogni speranza di miglioramento gli sarà negata. Più difficile sarà, invece, la sorte della stessa persona se decidesse di ritornare dai suoi dopo aver varcato i confini del suo villaggio, poiché si renderà conto che, di fronte all’impossibilità di reintegrarsi alla vita del paese, non gli resta che ripartire, questa volta però, per non tornare più. Ecco cosa succede a ‘Ntoni Malavoglia.
E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico. Allora 'Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tutto nero, come non gli bastasse il cuore di staccarsene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro Filippo.
Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il paese nero, e ascoltando il mare che gli brontolava lì sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch'ei conosceva, e delle voci che si chiamavano dietro gli usci, e sbatter d'imposte, e dei passi per le strade buie. Sulla riva, in fondo alla piazza, cominciavano a formicolare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i Tre Re che luccicavano, e la Puddara che annunziava l'alba, come l'aveva vista tante volte. Allora tornò a chinare il capo sul petto, e a pensare a tutta la sua storia. A poco a poco il mare cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad una ad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto c'era il lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. - Fra poco lo zio Santoro aprirà la porta, pensò 'Ntoni, e si accoccolerà sull'uscio a cominciare la sua giornata anche lui. - Tornò a guardare il mare, che s'era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta e disse: - Ora è tempo d'andarmene, perché fra poco comincierà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu.

[...]
Grazie a questi usi verbali, vediamo che ad Aci Trezza il tempo è circolare, e come in natura, i cambiamenti sono apparenti e ciclici, poiché alla fine tutto rimane immutabile; persino le azioni umane sembrano ritornare eternamente nella vita del paese. ‘Ntoni invece, in quanto esule o, perché no, futuro emigrante italiano del XIX secolo, appartiene al tempo lineare della storia e, quindi, non può più fare parte di quel mondo abitudinario che è Aci Trezza. Da qui la contraddizione simbolica della chiusa del romanzo: l’eterno ritorno è concesso soltanto a chi, il suo paese, non l’ha mai lasciato.

1 commento:

  1. Tramite un bel tuffo nel passato ci hai regalato una pagina di storia più che contemporanea. E con le tue parole anche Giovanni Verga (che all'epoca non riuscivo proprio a leggere!:P) oggi acquista ai miei occhi un valore diverso. Grazie amica mia.

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